“Il fegato grasso o steatosi epatica è una condizione per cui c’è un eccessivo accumulo di grassi in alcune delle cellule dell’organo, gli epatociti. La steatosi epatica non si forma da un giorno all’altro e nemmeno si può dare la colpa alla nascita: rientra in un complesso disordine clinico, chiamato MASLD, che include almeno un’altra patologia tra obesità, diabete mellito, ipertensione arteriosa”.
di Irene Scalera –
Punto primo. È un perfetto sconosciuto?
Il fegato grasso o steatosi epatica è una condizione per cui c’è un eccessivo accumulo di grassi in alcune delle cellule del fegato, gli epatociti. La steatosi rientra in un complesso disordine clinico, chiamato MASLD, Metabolic-associated steathepatitis liver disease (patologia della steatoepatite associata a sindrome metabolica), che oltre a comprendere quindi la steatosi, diagnosticata con esami radiologici e/o istologici, include anche almeno una delle seguenti patologie: obesità o sovrappeso, diabete mellito, ipertensione, dislipidemie come ipertrigliceridemia e/o ipercolesterolemia (o sindrome metabolica). È quindi facilmente comprensibile come l’aumento dell’incidenza della MASLD è parallelo all’incremento dell’obesità, quasi triplicata nell’ultima decade.

“Fegato steatosico” è una “dicitura” che spesso troviamo tra le righe dei referti ecografici… ma che fine fa?
Storia naturale del fegato grasso
La steatosi epatica non si forma da un giorno all’altro e nemmeno si può dare la colpa “alla nascita”.
L’alterato metabolismo degli zuccheri, come nel soggetto diabetico, l’aumentato dei grassi (trigliceridi, colesterolo cattivo) in circolo, come nei pazienti obesi o in sovrappeso e/o con ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia, comporta un’aumentata lipogenesi epatica, ossia un aumento della formazione di acidi grassi nel fegato che porta a uno stress ossidativo delle cellule stesse, innescando una complessa cascata infiammatoria epatica. Vengono quindi rilasciati e attivati diversi mediatori infiammatori, o citochine, che estendono il danno oltre il fegato e innescano un processo infiammatorio cronico e irreversibile del fegato, chiamato fibrosi. Nello stadio di fibrosi, le cellule epatiche sono notevolmente danneggiate e sostituite da ponti di fibrina che “induriscono” il fegato che comincia a non funzionare bene. Il fegato è un organo intelligente, non cede subito, sa resistere e lavorare sotto stress senza dare segnali di lamentela agli esami di laboratorio, ma se si riscontrano indici di colestasi mossi, come le GGT, o le transaminasi, forse davvero è un po’ troppo stressato.

È qui che bisogna ricorrere ad esperti in malattie epatiche, come epatologi o internisti specializzati in steatosi. E qui che può cominciare una via di non ritorno che dalla fibrosi può passare alla cirrosi, sostituzione irreversibile degli epatociti con la fibrina, e dalla cirrosi all’epatocarcinoma, altrimenti detto HCC, o tumore maligno che origina dagli epatociti. Certamente altri comuni fattori di rischio di HCC, come epatite B, C, storia di abuso di alcol, contribuiscono ad accelerare il percorso che va da steatosi ad HCC.
Purtroppo, è solamente nelle fasi avanzate di malattia epatica che possono comparire segni clinici e sintomi come stanchezza, ittero o aumento della bilirubina, ascite o aumento del liquido libero in addome, edemi declivi o rigonfiamento degli arti inferiori, facilità al sanguinamento, sintomi neurologici. Il fegato è attore-protagonista da premio Oscar di più di cento funzioni: queste vanno dal metabolismo delle varie sostanze nutritive (glucosio, grassi, proteine), alla produzione di energia, alla sintesi di numerose proteine che servono nel delicato meccanismo della coagulazione a quelle che servono a evitare trombosi. Il fegato produce le proteine che intervengono nel sistema immunitario, smaltisce sostanze tossiche che provengono dall’intestino evitando che queste rallentino il cervello e depura il sangue da molti farmaci. È un organo prezioso anche per la sua anatomia fuori dagli schemi. Non ha solo un’arteria che gli convoglia sangue ossigenato e una vena di scarico (come per esempio per il rene, che ha un’arteria renale e una vena), ma ha anche la maestosa vena porta che ha un circuito a sé, che nasce dall’intestino e finisce nel fegato, con una sua emodinamica e contenuti diversi dal circolo arterioso e venoso del corpo umano. Insomma, il fegato è un organo pregiato: se danneggiato, il corpo umano ne risente dalla testa ai piedi. A oggi non c’è nessuna macchina che lo sostituisce, per esempio come la dialisi nell’insufficienza renale. È un organo troppo complicato per farsi sostituire ed è in rete con tutto il corpo umano, che quindi ne risente quanto gli epatociti sono progressivamente sostituiti da fibrosi.
E quindi quando dal chirurgo?
Se all’inizio del disfunzionamento epatico, può intervenire l’epatologo o l’internista esperto in malattie epatiche, quando si arriva al tumore e/o alla fase terminale di malattia epatica è utile farsi visitare dal chirurgo. Ci sono diversi trattamenti per i noduli, che vanno dal trapianto alla resezione epatica, a trattamenti detti “loco-regionali” come la termoablazione (ossia la “bruciatura” del nodulo attraverso la puntura con ago collegato ad un apparecchio che genera calore attraverso onde radiofrequenze o microonde), a terapia sistemica come l’immunoterapia. Questi trattamenti sono stati inquadrati in una scala gerarchica che va dal trapianto, che rimane la miglior soluzione in quanto rimuove sia il tumore che il resto del fegato danneggiato, alla resezione, ai trattamenti loco-regionali e alle onco-terapie. Proprio per questa gerarchia, validata da tanta letteratura scientifica, subentra in campo il chirurgo che deve arbitrare il caso.
E soprattutto quale chirurgo?
L’HCC non è solo un tumore, ma una malattia di tutto l’organo. Non va considerato solamente il nodulo, ma tutto l’organo e le sue molteplici funzionalità e per due motivi principali: per tutti i trattamenti (escluso il trapianto), bisogna valutare se la funzionalità del fegato è tale da supportare il paziente per quel trattamento e che quindi non ceda dopo lo stress dell’intervento o del trattamento locoregionale o della terapia oncologica; il resto del parenchima epatico, attorno al tumore, è sempre lo stesso fegato danneggiato da anni di steatosi che, quindi, può produrre altri noduli dopo il primo. L’HCC va considerato come un tumore circondato da un pullulare di cellule che possono diventare altri noduli. Per questi due motivi, va scelto un chirurgo con specializzazione epatobiliare.
Inoltre, è consigliabile che costui abbia un forte background trapiantologico e soprattutto, visto la complessità dell’organo e i molteplici trattamenti possibili, è utile che sia in una team multidisciplinare e che valuti il paziente solamente in rete. Nel 2025 la discussione multidisciplinare del caso con HCC deve essere un diritto del paziente e non una fortuna.
E come evitare il chirurgo?
Considerati che l’obesità è prevenibile o comunque curabile e che il diabete, la dislipidemia, l’ipertensione sono controllabili, la fibrosi/cirrosi epatica e l’HCC sono quindi altrimenti prevenibili! Facile a dirsi e a scriversi, ma si deve prevenire!
La dottoressa Irene Scalera è Chirurgo – Specialista in Chirurgia Epatobiliopancreatica e trapianti di fegato – Policlinico di Bari

